martedì 9 febbraio 2010

una serata diversa

ho commentato su facebook la mia eperienza di tartaruga di fronte al disvelamento (per me) di un fenomeno come quello del femminicidio di Ciudad Juarez. Ancora una volta incontro persone che si muovono perché il rispetto degli altri non sia solo un'espressione vuota di significato. Oggi ho passato la mia giornata al computer a ricercare informazioni da diffondere ai pochi contatti. Sento il peso infinito dell'infamia di appartenere alla stessa razza ed allo stesso genere di quegli uomini tremendi. Poi penso che quegli uomini non sono i soli ad agire in modi che esito a definire disumani. Sembra, infatti, che ci sia più umanità che pratica la violenza rispetto a chi ne ha orrore. Forse quei comportamenti sono umani, per converso, disumani sono i pacifici, i modesti, gli onesti, le persone equilibrate. Anche l'altra sera alla presentazione del libro di Caselli si è parlato di potere e di connivenze, collusioni, malaffare politico. Anche in Italia c'è chi tratta le donne, i poveri, gli immigrati come merce disponibile per divertirtìrsi, sfruttare, guadagnare. Anche in Italia ci sono i narco trafficanti ed il riciclaggio e le imprese che ammiccano alla mafia o che la subiscono.
Cosa, dunque, mi ha provocato tanto turbamento? I numeri del genocidio? l'indifferenza ipocrita di chi sarebbe preposto alla difesa delle vittime? Forse la cosa che mi fa più male è il fine: divertimento sessuale fino alla morte. Ho pensato a quelle povere ragazze, bambine, al dolore fisico, alla paura di fronte alla crudeltà, alla disperazione, alla morte come liberazione. E ai carnefici il giorno dopo, quando ripuliti dal sangue sono andati al bar magari insultando una madre che chiedeva della propria figlia scomparsa. Quanto dolore. Spesso mi chiedo se avessi la possibilità di decidere della sorte di assassini come quelli come reagirei. Non sono un giudice, non ho la conoscenza e la capacità e credo che non saprei fermarmi nel nome di una giustizia che punisce con il carcere. Mi farei trascinare dalla pulsione di cancellare la presenza di chi non ha riconosciuto la sacralità del corpo e l'integrità dell'animo. So che si ricade in un circolo vizioso e me ne dolgo ma non credo ci sia possibilità di redenzione dagli abissi di tale abiezione. Quanto a dio, mi sembra così distante da non rappresentare né un aiuto per le vittime, né un pericolo per i carnefici.

venerdì 22 gennaio 2010

è venerdi

una settimana è passata, un'altra con pochi progressi e il processo breve approvato al senato. Fa freddo e siamo quasi obbligati a stare in casa e la casa diventa un luogo di troppo intensa frequentazione. La speranza di un cambiamento non mi lascia e finisce per somigliare alla sensazione provata dagli ufficiali della fortezza Bastiani. Come loro, infine, ricado preda della malìa delle abitudini, della comodità di una vita borghese (si sarebbe detto un po' di tempo fa) e rancorosa.
Il gelo si è impossessato degli alberi e li ha velati di bianco come in una cartolina dal paese di Babbo Natale. Niente regali, solo freddo e le mani che ti fanno male. La mattina al mercato vedo cinesi imbaccuccati che battono i piedi immaginando di scaldarsi.. Più in là un africano senza denti ha solo la giacca ma canticchia, come fa?
Ma per fortuna è venerdi sera, il momento migliore: due giorni interi prima della nuova settimana lavorativa. Sembra tutto uguale: tempo davanti a sé; tempo e festa per sentirsi più...ricchi e felici?

martedì 19 gennaio 2010

Basta che funzioni

Un buon film dell'indispensabile Woody Allen fa a pezzi l'immagine dell'uomo come centro dell'universo e riporta il discorso sul caso, sulla coincidenza. Mi piace perché spesso, nel buio della mia cameretta, mi sono detto che la vita è largamente frutto del caso. Come si spiegherebbe altrimenti il fatto che siamo nati qui e non in Palestina? Qualche grado di latitudine e saremmo stati condannati ad una vita terribile, ad una morte violenta e all'odio eterno.
L'odio è un sentimento che provo anch'io nei confronti della arroganza, dell'ingiustizia e del tanto peggio, tanto meglio. Devo fermarmi se no incomincio il rosario contro ciò che ci circonda che è, sostanzialmente, il prodotto della decandenza della nostra civiltà e del nostro modello sociale.
Una società virtuale dove poco ha ancora un carattere tangibile, dove stiamo perdendo le abilità acquisite durante i secoli e il gusto delle cose, la loro importanza.
Di ritorno da un viaggio in estremo oriente una conoscente ha portato dei braccialetti fatti con semi. "Sembrano ricamati, non si capisce che sono semi" è stato il commento di mia moglie. Una società ancora legata a ritmi e stili di vita più vicini al medioevo che alla globalizzazione produce manufatti mirabili. Qui "in occidente"la parola d'ordine è "vendere" e molte volte senza sapere cosa c'è dentro la scatola.
Mi torna in mente quanto diceva un agente con il quale collaboravo al termine degli studi. Vendevo libri (pochini) in attesa di risolvere la questione del servizio militare. Prima enciclopedie per i ragazzi per passare, dopo tre mesi, ad un'enciclopedia monumentale per una casa editrice prestigiosa. Dopo un altro mese si ventilava un ulteriore passaggio ad un editore meno elitario. Ci furono proteste per la troppa disinvoltura nel cambiare e l'agente tuonò:"se io domani dico che andiamo a vendere panettoni, si vendono i panettoni e chi non è d'accordo può alzarsi e andarsene". Un profeta moderno.
Oggi passeggiavo per una via del centro: un bar, un negozio di abbigliamento, un bar, un negozio di abbigliamento, due bar, un negozio di cellulari e potrei continuare per altri due o duemila chiometri. Che desolazione, che degrado sociale, che miseria.
Mi chiedo, quanto durerà tutto ciò e che cosa posso fare io?
Poiché sono troppo pigro per andare a cercare impegni che rinforzino il mio senso etico, convivo con il cilicio del senso del dovere regalatomi dall'imprinting e protesto contro la vita facile nella casa riscaldata, illuminata e costellata da elettrodomestici di varia utilità made in far east.
Aspetto una coincidenza o la fine del mondo, basta che funzioni.

venerdì 15 gennaio 2010

Toh, chi si rivede!

mo ne è passato di tempo, cosa ti è successo?

m
a niente di particolare, ho smesso di lavorare.

mo
sei andato in pensione? che fortunato!

ma
no, sono in mobilità, in prepensionamento.

mo
si, ma ti manca poco, no?

ma
un anno e mezzo.

mo
lo vedi che avevo ragione: sei fortunato. E cosa fai, hai trovato un lavoretto? con la tua esperienza...

ma
no, niente lavoretto, nessuna proposta e nessuna ricerca. Sono in stallo e non capisco cosa devo fare.

mo
e va beh, prenditela con calma. Hai sempre voluto fare un sacco di cose e non potevi per via del poco tempo, non hai che l'imbarazzo della scelta.

ma
è un po' come il foglio bianco dello scrittore, non sai da che parte incominciare. In compenso ci sono molte persone che sanno bene quello che tu dovresti fare e te lo dicono con quell'aria bonaria che ti fa sentire inadeguato, fragile, vecchio.

mo
beh, in fondo un po' vecchio sei

ma
lo so, lo vedo tutte le mattine quel tizio che mi guarda nello specchio; e tutte le mattine c'è una ruga che non avevo visto fino al giorno prima.

mo
per favore niente autocommiserazione.

ma
non cerco consolazioni. Forse ho dato troppa importanza alla mia vita lavorativa. D'altra parte avevo un posto comodo e una vita ovattata: casa, auto, ufficio, ristorante, ufficio, auto, casa. Niente sport, niente amanti, niente amici, niente vizi, niente o poco più. Tolta la routine para professionale la vita si è sgonfiata e io adesso aspetto.

mo
aspetti? e cosa aspetti, che arrivi qualcuno e gonfi la tua carcassa?

ma
non è un'ipotesi probabile. Il mondo corre via e l'individuo non conta più molto. Molta fretta di far passare il tempo, è un paradosso! Mi piacerebbe la lentezza di cui non conosco i meccanismi. Sono stato educato alla fretta come molti altri della mia generazione. Mi accade di mangiare in fretta, senza gustare il cibo; leggo in fretta e, spesso, non capisco. La mia fretta genera superficialità che mi fa sentire ignorante e insensibile. Sono stato frettoloso nei rapporti umani, tant'è che non ho riferimenti a cui appoggiarmi. Certo, c'è la famiglia, ma bisogna avere spirito evangelico e porgere continuamente l'altra guancia se si vuole mantenere una qualche forma di comunicazione. E poi la famiglia è il luogo delle pulsioni peggiori: accumuliamo negatività e aspettiamo di arrivare a tavola per scaricarla nelle braccia della famiglia. Troppa confidenza e troppi bocconi amari inghiottiti sono il perfetto connubio per vomitare sul tavolo della cena tutto il rancore prodotto dalle proprie inadeguatezze.

mo mi sto addormentando, tanto mi prende questa storia

ma lo so, non c'è niente di originale, è una sindrome che accade a molti.
Io non ho nolstalgia del lavoro. La mercificazione del lavoro è talmente evidente che solo l'ipocrisia tiene assieme la struttura organizzativa. Siamo ritornati ad essere numeri di matricola chiudendo un cerchio che sembrava spezzato dal '68. Un po' di umiltà fa bene a tutti ma qui si tratta di ritornare indietro e forse di scomparire. L'atteggiamento mercantile proprio del capitalismo non mi è mai piaciuto anche se ho rosicchiato la mia parte, quando ho potuto. La facilità nell'accesso al danaro, che tanti guai ha provocato, ha cambiato il modo di vedere la vita rendendo relativi molti dei valori tipici della società di contadini ed operai da cui originiamo. E tornando al lavoro, no, non ne sento la mancanza; piuttosto, sento la mancanza del mio posto nella società, dei miei piccoli privilegi, di essere riconosciuto. E' uno status che si costruisce nel tempo e in un momento si perde. I tuoi ex colleghi ti guardano in modo opaco, con aria di chi abbia altro da fare (ed è vero).

mo beh, mi ha fatto piacere risentirti, quando passi da queste parti fatti vedere.

ma certo, e non dimentichiamoci gli auguri a Natale e Pasqua, non costano niente e ci fanno sentire più leggeri, più buoni e...